LA RICERCA UNIONCAMERE
CERCANSI INFORMATICI, MUSICISTI, SARTI E INFERMIERI
UNA LAUREA IN INGEGNERIA IN LOMBARDIA AUMENTA LE POSSIBILITÀ OCCUPAZIONALI. OCCASIONI ANCHE NELLA SANITÀ E NELLE ARTI
Il fenomeno descritto dal professor Ichino, poi si materializza nei numeri e nelle percentuali che ogni anno vengono sfornati dalla mappa del lavoro di Unioncam ere e del ministero del Welfare. Insomma, abbiamo capito che in Italia c'è un gap tra domanda e offerta, che la scuola non indirizza verso l'occupazione e che alcune lauree sono quasi inutili, ma andando al dunque ci si chiede: quali sono queste professionalità che non si trovano? Come è ovvio che sia le risposte viaggiano a macchia di leopardo.In Lombardia, per esempio, una laurea in ingegneria informatica rappresenta anche nel 2014 un'ottima carta da giocare. Esempio? «Su 530 assunzioni di esperti software con questa laurea in tutta Italia si legge nella ricerca, 210, cioè poco meno del 40%, sono considerate dalle imprese di difficile reperimento per gap di offerta (ossia,a causa di un numero di richieste superiore alle candidature proposte)». E nella stessa situazione si trovano anche gli analisti programmatori, i programmatori informatici e i progettisti di software. Nel primo caso sui 930 profili ricercati in tutto il Paese, ben 300 (quindi 32%) sono di difficile reperimento, nel secondo, il rapporto è di 650 casi complessi su 3.300 nuovi posti e nel terzo di 150 su 940. Ovviamente in tutti questi casi «le difficoltà» maggiori si riscontrano nella regione più ricca d'Italia. Sorprese? Non mancano. Perché nuove tecnologie a parte desta meraviglia il fatto che nella classifica delle 5 professioni in cui le imprese lamentano poche candidature utili, al terzo posto si trovino gli esperti di gestione aziendale con un 26% di assunzioni difficili da reperire (150 su 580). Mentre al quinto ci sono gli infermieri. «Un problema prevalentemente legato alle reali competenze e all'esperienza continua la ricerca rende invece difficile reperire, per le imprese dell'industria e dei servizi, la stragrande maggioranza dei 130 responsabili di iniziative promozionali (per lo più con una laurea in Scienze della comunicazione) ricercati soprattutto in Piemonte, nonché 180 dei 280 cantanti lirici (dottori in musicologia e spettacolo) per i quali il Veneto presenta la più elevata criticità». E quello delle competenze è il problema principale anche per i diplomati che non trovano occupazione. Spesso «perché il percorso formativo non risulta adeguato alle necessità del sistema produttivo...». Ci sono le imprese, in particolar modo quelle venete, che segnalano la difficoltà di trovare la stragrande maggioranza delle 120 figure di stuccatore edile(è richiesto il diploma di perito edile). Mentre soprattutto nel Lazio è complessa la caccia a 330 su 360 transferisti addetti all'assistenza e ricevimento agli arrivi e alle partenze. Scende, infine, al 50% (180 su 360) la difficoltà di reperire musicisti diplomati presso un liceo musicale, e al 21% quella di assumere un sarto. Soprattutto in Campania, dove conoscenze e segnalazioni la fanno da padrone. Come del resto in quasi tutte le altre regioni del Belpaese.
(Tratto da Libero, numero del 28/11/2014)
venerdì 28 novembre 2014
giovedì 27 novembre 2014
COSA CAMBIA CON IL JOBS ACT?
GUIDA PER IMPRESE E PRECARI
DAL 1 GENNAIO MISURE SU ARTICOLO 18 E NUOVI CONTRATTI
Il Jobs Act è in dirittura d'arrivo. Cosa cambia per il mondo del lavoro? La nuova legge delega il governo
ad emanare uno o più decreti legislativi che di qui ai prossimi mesi produrranno una riscrittura molto ampia di molti dei regolamenti e dei meccanismi che fanno funzionare il nostro mercato del lavoro. In dettaglio sono 51e deleghe attribuite all'esecutivo: 1) riordino degli ammortizzatori sociali, 2) servizi per il lavoro
e politiche attive, 3) semplificazione degli adempimenti, 4) riordino delle forme contrattuali e dell'attività
ispettiva, 5) tutela della maternità e conciliazione dei tempi vita/lavoro. Che tempi sono previsti? Dopo il via libera della Camera arrivato martedì, la legge è ritornata al Senato per la terza lettura. Sarà in aula il 2 dicembre con l'obiettivo di approvarla entro il 4 senza altre modifiche, anche se i senatori hanno già presentato 76 emendamenti e 46 differenti ordini del giorno. Una volta ottenuto l'ok anche da Palazzo
Madama il governo avrà 6 mesi di tempo per presentare i vari decreti attuativi che come la legge delega entreranno in vigore il giorno successivo la loro pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Quali saranno i primi
provvedimenti concreti? L'impegno del governo è quello di presentare subito il dlgs che introduce il nuovo contratto a tutele crescenti (e quindi le modifiche all'art.18) e subito dopo quello che riforma ed estende gli ammortizzatori sociali in maniera tale da renderli operativi a partire dal 1 gennaio 2015 e poter associare il
nuovo modello contrattuale al bonus assunzioni che scatta sempre col 2015. A chi spetta scrivere i decreti
attuativi? Spetta al ministero del Lavoro. Ed il ministro Poletti ha già assicurato la sua disponibilità a confrontarsi con le Commissioni lavoro per la messa a punto dei vari decreti legislativi. Spetta infatti al Parlamento esprimere un parere (non vincolante) sui singoli dlgs prima del varo definitivo da parte del Consiglio dei ministri. Quali sono state le principali novità introdotte alla Camera? Le modifiche più significative apportante dalla Commissione lavoro hanno riguardato i criteri di delega in materia di ammortizzatori sociali e politiche attive, le forme contrattuali flessibili ed il contratto a tutele crescenti.
Cosa cambia per la cig? In primo luogo la cassa integrazione non sarà applicata nel caso in cui l
a cessazione dell'attività aziendale (o di un ramo di essa) è definitiva. Inoltre è stato specificato che i meccanismi standardizzati per la concessione di ammortizzatori saranno definiti a livello nazionale. Come è stata modificata la parte relativa al riordino delle forme contrattuali? La modifica di maggiore rilievo ha riguardato la disciplina dei licenziamenti illegittimi nell'ambito del nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. In particolare la possibilità di reintegro del lavoratore nel posto di lavoro (ferma restando la disciplina vigente per i licenziamenti nulli e discriminatori, a fronte dei quali la reintegra è sempre ammessa) è stata esclusa peri licenziamenti economici, mentre per quelli disciplinari ingiustificati è stata limitata a «specifiche fattispecie». Per quanto concerne le forme contrattuali flessibili col riordino è stato di fatto previsto il superamento delle collaborazioni coordinate e continuative. Come verranno quantificati
gli indennizzi nel contratto a tutele crescenti? Questo è il punto più delicato da risolvere. I tecnici starebbero valutando la possibilità di abbassare il tetto delle 36 mensilità di indennizzo, ipotizzato in un primo momento e ritenuto troppo oneroso dalle imprese oltre che superiore a quello fissato negli altri
Paesi europei. Si potrebbe scendere a quota 24 mensilità, calcolando 1,5 mesi di stipendio ogni anno di anzianità aziendale. Per le piccole imprese, inoltre, sembra venga confermato l'attuale regime di indennizzo che va da un minimo di 2,5 mensilità ad un massimo di sei.
(tratto da "La Stampa", numero del giorno 27 novembre2014, firmato da Paolo Baroni)
GUIDA PER IMPRESE E PRECARI
DAL 1 GENNAIO MISURE SU ARTICOLO 18 E NUOVI CONTRATTI
Il Jobs Act è in dirittura d'arrivo. Cosa cambia per il mondo del lavoro? La nuova legge delega il governo
ad emanare uno o più decreti legislativi che di qui ai prossimi mesi produrranno una riscrittura molto ampia di molti dei regolamenti e dei meccanismi che fanno funzionare il nostro mercato del lavoro. In dettaglio sono 51e deleghe attribuite all'esecutivo: 1) riordino degli ammortizzatori sociali, 2) servizi per il lavoro
e politiche attive, 3) semplificazione degli adempimenti, 4) riordino delle forme contrattuali e dell'attività
ispettiva, 5) tutela della maternità e conciliazione dei tempi vita/lavoro. Che tempi sono previsti? Dopo il via libera della Camera arrivato martedì, la legge è ritornata al Senato per la terza lettura. Sarà in aula il 2 dicembre con l'obiettivo di approvarla entro il 4 senza altre modifiche, anche se i senatori hanno già presentato 76 emendamenti e 46 differenti ordini del giorno. Una volta ottenuto l'ok anche da Palazzo
Madama il governo avrà 6 mesi di tempo per presentare i vari decreti attuativi che come la legge delega entreranno in vigore il giorno successivo la loro pubblicazione in Gazzetta ufficiale. Quali saranno i primi
provvedimenti concreti? L'impegno del governo è quello di presentare subito il dlgs che introduce il nuovo contratto a tutele crescenti (e quindi le modifiche all'art.18) e subito dopo quello che riforma ed estende gli ammortizzatori sociali in maniera tale da renderli operativi a partire dal 1 gennaio 2015 e poter associare il
nuovo modello contrattuale al bonus assunzioni che scatta sempre col 2015. A chi spetta scrivere i decreti
attuativi? Spetta al ministero del Lavoro. Ed il ministro Poletti ha già assicurato la sua disponibilità a confrontarsi con le Commissioni lavoro per la messa a punto dei vari decreti legislativi. Spetta infatti al Parlamento esprimere un parere (non vincolante) sui singoli dlgs prima del varo definitivo da parte del Consiglio dei ministri. Quali sono state le principali novità introdotte alla Camera? Le modifiche più significative apportante dalla Commissione lavoro hanno riguardato i criteri di delega in materia di ammortizzatori sociali e politiche attive, le forme contrattuali flessibili ed il contratto a tutele crescenti.
Cosa cambia per la cig? In primo luogo la cassa integrazione non sarà applicata nel caso in cui l
a cessazione dell'attività aziendale (o di un ramo di essa) è definitiva. Inoltre è stato specificato che i meccanismi standardizzati per la concessione di ammortizzatori saranno definiti a livello nazionale. Come è stata modificata la parte relativa al riordino delle forme contrattuali? La modifica di maggiore rilievo ha riguardato la disciplina dei licenziamenti illegittimi nell'ambito del nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti. In particolare la possibilità di reintegro del lavoratore nel posto di lavoro (ferma restando la disciplina vigente per i licenziamenti nulli e discriminatori, a fronte dei quali la reintegra è sempre ammessa) è stata esclusa peri licenziamenti economici, mentre per quelli disciplinari ingiustificati è stata limitata a «specifiche fattispecie». Per quanto concerne le forme contrattuali flessibili col riordino è stato di fatto previsto il superamento delle collaborazioni coordinate e continuative. Come verranno quantificati
gli indennizzi nel contratto a tutele crescenti? Questo è il punto più delicato da risolvere. I tecnici starebbero valutando la possibilità di abbassare il tetto delle 36 mensilità di indennizzo, ipotizzato in un primo momento e ritenuto troppo oneroso dalle imprese oltre che superiore a quello fissato negli altri
Paesi europei. Si potrebbe scendere a quota 24 mensilità, calcolando 1,5 mesi di stipendio ogni anno di anzianità aziendale. Per le piccole imprese, inoltre, sembra venga confermato l'attuale regime di indennizzo che va da un minimo di 2,5 mensilità ad un massimo di sei.
(tratto da "La Stampa", numero del giorno 27 novembre2014, firmato da Paolo Baroni)
venerdì 21 novembre 2014
L'Ancl analizza i contenuti del Jobs act e ne valuta gli effetti
Riforma lavoro bla bla
Tante parole che non creano occupazione
DI DARIO MONTANARO
"Ormai ai giornali, ai media e ai commentatori della domenica interessa sempre meno approfondire nel merito le questioni. Sulla pseudoriforma dell'art. 18 tramite il cosidetto Jobs Act si potrebbe scrivere un'enciclopedia che, seppure inutile nella sostanza,potrebbe rappresentare un buon manuale di istruzioni per chi, in futuro, vorrà occuparsi di politica in modo inconcludente e demagogico. Probabilmente, la tanto vituperata arte di governo,attraverso la quale vengono «date notizie in pasto ai media» piuttosto che «scritte leggi che abbiano una minima utilità» è ormai una competenza distintiva di qualunque governo si applichi alla guida di questo paese. Non è compito della nostra associazione dare giudizi di merito,almeno in questo momento,sulla legge delega. Riflettiamo sul fatto che tale procedura di produzione normativa,in passato, era riservata allascrittura di regole di rilevanza «superiore» attraverso un meccanismo di garanzia costituzionale rappresentato dal decreto legislativo. Oggi invece, tra il voto di fiducia al senato e la minaccia di voto dí fiducia alla camera,si è persa ogni solennità e serietà rispetto anche a questa procedura di normazione. E inutile ribadire che, chi fino ad oggi si è accanito sugli studi di diritto pubblico e costituzionale, deve azzerare tutto e ripartire dal nulla nel nome del rinnovamento e dell'azione esecutiva di governo che riconosce solo il cittadino come unico interlocutore,eliminando qualsiasi confronto con la cosiddetta «società di mezzo»; peccato che questa società di mezzo(professionisti, parti sociali)ad oggi fa funzionare il paese,forse male e certamentepotrebbero fare meglio;ma non è eliminando questi soggetti che, come d'incanto,si risolvono tutti i problemi.Forse pretendendo che ognuno faccia seriamente la sua parte, il paese potrebbe veramente avviare una fase di svolta. Ritornando alle modifiche previste per i nuovi assunti e per l'art. 18 della legge 300, non possiamo non notare che i nostri colleghi, nei rapporti con le aziende assistite, non avranno alcun nuovo argomento per convincere le imprese (poche) ad assumere a tempo indeterminato, neanche il concetto del «... tanto si può licenziare» rappresenta uno stimolall'occupazione, anzi sembra
una beffa per chi ha già pochi stimoli verso nuove iniziative produttive, suona infatti, come una iettatura, un preannuncio
di fallimento della sua idea economica. Ebbene, ancora una volta questo paese mostra tutto il suo odio per il sistema delle imprese,evidenziando quanto siano forti i rigurgiti di un sistema che vede nell'imprenditore un soggetto inaffidabile, da controllare e contenere e magari da mortificare. Non si comprende quale molla debba scattare, nei moderni imprenditori, per convincerli che, potendo licenziare, ora possono assumere. Nessun nostro cliente assume pensando già a quando dovrà licenziare un lavoratore, è un ragionamento contrario a tutte le leggi di convenienza economica e di strategia gestionale, anzi direi che è
un ragionamento da «sciocchi» e in nostri imprenditori non sono affatto «sciocchi». A nessuno viene in mente che non si assume perché manca la spinta economica che giustifica l'utilizzo del capitale umano? Alias non si assume perché non c'è lavoro, non ci
sarebbe nulla da far fare a questi nuovi lavoratori, che,se pur licenziatili e agevolati, non si sporcherebbero mai le mani perché non vi sono prodotti da realizzare o servizi da fornire. Inoltre, non è affatto vero che l'attuale formulazione
dell'art. 1 comma 7 lett. c) del ddl (Jobs Act) prevede la libera recedibilità dal contratto di lavoro a tempo indeterminato per i nuovi assunti, in alcuni casi prevede un indennizzo in luogo della reintegra per licenziamenti economici considerati illegittimi, sposando platealmente il concetto che,un imprenditore che è in difficoltà e deve ridurre i lavoratori perché si è ridotto il lavoro, deve spendere altro denaro (che non avrà) per salvare la sua azienda. Ancora una volta, in questo paese
si difendono i lavoratori (specie protetta) e non il lavoro (elemento ormai estinto). In pratica si continua a considerare
l'imprenditore come un pazzo che inventa esuberi solo per dare sfogo al suo ego e non per mantenere in piedi l'attività economica. Certo si può immaginare l'esistenza di «abusi» da contenere, ma il problema del nostro paese e del nostro diritto del lavoro è proprio questo! Per tutelare le parti dagli abusi si scrivono norme assurde che bloccano l'economia, non si ha il coraggio di dettare regole che consentano di individuare chi abusa e di penalizzarlo, allora si scrivono regole che non servono a nessuno e penalizzano tutti. Sulla reintegra per i licenziamenti discriminatori e disciplinari (per alcune tipologie che leggeremo nei decreti attuativi) non vi è possibilità di commento, perché sicuramente, come già avvenuto dopo la Fornero, tutti i licenziamenti saranno definiti come discriminatori(anche se il datore di lavoro ha guardato male il lavoratore) e, sempre, ripeto sempre, si darà adito a un giudice di porsi il dubbio della discriminazione. Come al solito, per una tipologia di comportamento assolutamente risibile si scrivono norme generali che valgono per tutti; i casi di licenziamenti discriminatori di fatto non esistono (non si leggono sentenze o commenti in dottrina su casi reali, da decenni) e pertanto... Tanto rumore per nulla. Rispetto alla tipizzazione dei licenziamenti disciplinari aspettiamo i decreti e, vorremmo sbagliarci, ma riteniamo che anche in questo caso non vi è possibilità di chiarezza delle regole, poiché data la complessità dei sistemi organizzativi aziendali, ogni singolo addebito sarò ricondotto, magari per analogia, a quelli che saranno indicati nelle norme attuative. Rimandiamo al prossimo commento l'effetto che questa nuova norma avrà sui dipendenti ancora in forza e sulla «famosa» teoria del
«fatto» di cui si è occupata la Cassazione lo scorso 6 novembre."
(estratto da "Italia Oggi" del 21/11/2014)
Riforma lavoro bla bla
Tante parole che non creano occupazione
DI DARIO MONTANARO
"Ormai ai giornali, ai media e ai commentatori della domenica interessa sempre meno approfondire nel merito le questioni. Sulla pseudoriforma dell'art. 18 tramite il cosidetto Jobs Act si potrebbe scrivere un'enciclopedia che, seppure inutile nella sostanza,potrebbe rappresentare un buon manuale di istruzioni per chi, in futuro, vorrà occuparsi di politica in modo inconcludente e demagogico. Probabilmente, la tanto vituperata arte di governo,attraverso la quale vengono «date notizie in pasto ai media» piuttosto che «scritte leggi che abbiano una minima utilità» è ormai una competenza distintiva di qualunque governo si applichi alla guida di questo paese. Non è compito della nostra associazione dare giudizi di merito,almeno in questo momento,sulla legge delega. Riflettiamo sul fatto che tale procedura di produzione normativa,in passato, era riservata allascrittura di regole di rilevanza «superiore» attraverso un meccanismo di garanzia costituzionale rappresentato dal decreto legislativo. Oggi invece, tra il voto di fiducia al senato e la minaccia di voto dí fiducia alla camera,si è persa ogni solennità e serietà rispetto anche a questa procedura di normazione. E inutile ribadire che, chi fino ad oggi si è accanito sugli studi di diritto pubblico e costituzionale, deve azzerare tutto e ripartire dal nulla nel nome del rinnovamento e dell'azione esecutiva di governo che riconosce solo il cittadino come unico interlocutore,eliminando qualsiasi confronto con la cosiddetta «società di mezzo»; peccato che questa società di mezzo(professionisti, parti sociali)ad oggi fa funzionare il paese,forse male e certamentepotrebbero fare meglio;ma non è eliminando questi soggetti che, come d'incanto,si risolvono tutti i problemi.Forse pretendendo che ognuno faccia seriamente la sua parte, il paese potrebbe veramente avviare una fase di svolta. Ritornando alle modifiche previste per i nuovi assunti e per l'art. 18 della legge 300, non possiamo non notare che i nostri colleghi, nei rapporti con le aziende assistite, non avranno alcun nuovo argomento per convincere le imprese (poche) ad assumere a tempo indeterminato, neanche il concetto del «... tanto si può licenziare» rappresenta uno stimolall'occupazione, anzi sembra
una beffa per chi ha già pochi stimoli verso nuove iniziative produttive, suona infatti, come una iettatura, un preannuncio
di fallimento della sua idea economica. Ebbene, ancora una volta questo paese mostra tutto il suo odio per il sistema delle imprese,evidenziando quanto siano forti i rigurgiti di un sistema che vede nell'imprenditore un soggetto inaffidabile, da controllare e contenere e magari da mortificare. Non si comprende quale molla debba scattare, nei moderni imprenditori, per convincerli che, potendo licenziare, ora possono assumere. Nessun nostro cliente assume pensando già a quando dovrà licenziare un lavoratore, è un ragionamento contrario a tutte le leggi di convenienza economica e di strategia gestionale, anzi direi che è
un ragionamento da «sciocchi» e in nostri imprenditori non sono affatto «sciocchi». A nessuno viene in mente che non si assume perché manca la spinta economica che giustifica l'utilizzo del capitale umano? Alias non si assume perché non c'è lavoro, non ci
sarebbe nulla da far fare a questi nuovi lavoratori, che,se pur licenziatili e agevolati, non si sporcherebbero mai le mani perché non vi sono prodotti da realizzare o servizi da fornire. Inoltre, non è affatto vero che l'attuale formulazione
dell'art. 1 comma 7 lett. c) del ddl (Jobs Act) prevede la libera recedibilità dal contratto di lavoro a tempo indeterminato per i nuovi assunti, in alcuni casi prevede un indennizzo in luogo della reintegra per licenziamenti economici considerati illegittimi, sposando platealmente il concetto che,un imprenditore che è in difficoltà e deve ridurre i lavoratori perché si è ridotto il lavoro, deve spendere altro denaro (che non avrà) per salvare la sua azienda. Ancora una volta, in questo paese
si difendono i lavoratori (specie protetta) e non il lavoro (elemento ormai estinto). In pratica si continua a considerare
l'imprenditore come un pazzo che inventa esuberi solo per dare sfogo al suo ego e non per mantenere in piedi l'attività economica. Certo si può immaginare l'esistenza di «abusi» da contenere, ma il problema del nostro paese e del nostro diritto del lavoro è proprio questo! Per tutelare le parti dagli abusi si scrivono norme assurde che bloccano l'economia, non si ha il coraggio di dettare regole che consentano di individuare chi abusa e di penalizzarlo, allora si scrivono regole che non servono a nessuno e penalizzano tutti. Sulla reintegra per i licenziamenti discriminatori e disciplinari (per alcune tipologie che leggeremo nei decreti attuativi) non vi è possibilità di commento, perché sicuramente, come già avvenuto dopo la Fornero, tutti i licenziamenti saranno definiti come discriminatori(anche se il datore di lavoro ha guardato male il lavoratore) e, sempre, ripeto sempre, si darà adito a un giudice di porsi il dubbio della discriminazione. Come al solito, per una tipologia di comportamento assolutamente risibile si scrivono norme generali che valgono per tutti; i casi di licenziamenti discriminatori di fatto non esistono (non si leggono sentenze o commenti in dottrina su casi reali, da decenni) e pertanto... Tanto rumore per nulla. Rispetto alla tipizzazione dei licenziamenti disciplinari aspettiamo i decreti e, vorremmo sbagliarci, ma riteniamo che anche in questo caso non vi è possibilità di chiarezza delle regole, poiché data la complessità dei sistemi organizzativi aziendali, ogni singolo addebito sarò ricondotto, magari per analogia, a quelli che saranno indicati nelle norme attuative. Rimandiamo al prossimo commento l'effetto che questa nuova norma avrà sui dipendenti ancora in forza e sulla «famosa» teoria del
«fatto» di cui si è occupata la Cassazione lo scorso 6 novembre."
(estratto da "Italia Oggi" del 21/11/2014)
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