SI CHIAMA “RIEMERGO”: UN AIUTO PER CHI È STATO MESSO IN GINOCCHIO DALLA CRISI
Si sono dati un nome che parla da sé, “Riemergo”, un auspicio ma anche una promessa che si fa a se stessi quando si è messi veramente alla prova. Loro sono un’associazione, nascono per dare una mano a chi fatica a trovare da solo nuovi punti di riferimento dopo, magari, aver perso il lavoro e perché travolto dalla crisi economica.
«L’associazione Riemergo nasce dall'idea di un gruppo di imprenditori, manager e professionisti attenti al sociale e alla solidarietà – spiega l’avvocato Alessandra Paci che ne fa parte – Ci occupiamo quotidianamente di gestire situazioni di crisi e siamo ben consapevoli della mancanza di un forte sostegno da parte delle istituzioni pubbliche. Abbiamo quindi deciso di mettere a disposizione degli associati le nostre diverse professionalità ed esperienze in campo imprenditoriale, legale, delle risorse umane, psicologico e sociale». Il gruppo che ha dato vita all’associazione ha da anni a che fare con aziende in crisi e persone sovraindebitate, anche a causa della perdita dell'occupazione. «Molte famiglie o piccole attività che versano in queste situazioni non sanno a chi rivolgersi (per ritegno, per vergogna, per mancanza di supporto professionale adeguato, ecc.) e con il passare del tempo i problemi diventano sempre più difficilmente risolvibili, con conseguenze a volte tragiche. Vogliamo quindi aiutare chi si trova in queste situazioni, perché spesso c'è una via d'uscita dignitosa».
L'associazione ha iniziato ad operare nel settembre scorso; è approdata sul sito web del Comune di Milano e arriverà sui social, in forza di una convenzione sottoscritta a fine luglio; ha anche ottenuto il patrocinio del Comune di Lodi.
«Finora abbiamo trattato una ventina di casi – spiega Paci - abbiamo avuto circa una cinquantina di contatti, ma in alcuni casi si tratta di persone che non possiamo aiutare. Se vi sono i presupposti, segnaliamo il contatto ad altre associazioni con cui collaboriamo. Solitamente si rivolgono a noi famiglie nelle quali uno dei coniugi ha perso il lavoro, è in cassa integrazione o mobilità e che non riescono a pagare crediti al consumo, mutui o leasing precedentemente contratti, ma che nello stesso tempo vogliono cercare di salvare quello che hanno, per esempio la casa di proprietà. Ci sono anche piccoli imprenditori o artigiani che, a causa della crisi, hanno ridotto i ricavi o aumentato l'indebitamento e pertanto non riescono a far fronte ai diversi creditori. Noi possiamo fare un'analisi dettagliata della situazione debitoria della famiglia e dell'azienda, analisi che prende in esame tutti i debiti contratti (non solo quelli scaduti e oggetto di solleciti del creditore) e lo stato in cui si trovano (per esempio mancato pagamento di qualche rata, revoca del finanziamento/mutuo, sollecito da parte di avvocato, decreto ingiuntivo/cartella di pagamento di Equitalia, pignoramento, ipoteca iscritta su un bene del debitore) e la relativa documentazione; inoltre verifichiamo i beni e i redditi di chi si rivolge a noi, per valutare le possibilità di pagamento (a rate, a saldo e stralcio, una combinazione di queste due modalità) e/o i rischi che corre il debitore di perdere, in tutto o in parte, il proprio patrimonio o il proprio reddito; infine esponiamo all'utente la strada migliore per affrontare la situazione, descrivendo le modalità per metterla in pratica. In alcuni casi lo strumento utilizzabile può essere individuato nell'ambito dei procedimenti contenuti nella legge sul sovraindebitamento; il soggetto potrà attuare quanto indicato anche per conto proprio o avvalendosi di professionisti di sua scelta».
Riferimenti: Sportello di Milano: 02-87186890, Sportello di Lodi: 0371-1841123, e-mail: info@riemergo.org, sito internet: www.riemergo.org.
(tratto da www.ilcambiamento.it, datato 10 dicembre 2014)
giovedì 11 dicembre 2014
mercoledì 10 dicembre 2014
Ecco come lo Stato può aiutare (davvero) chi perde il lavoro.
Rendiamo obbligatorio l’outplacement.
Ogni settimana, quasi ogni giorno, leggiamo di imprese in crisi, costrette a licenziamenti collettivi o alla chiusura; uno degli effetti più tangibili della tremenda crisi che stiamo vivendo, non solo al Sud. E tutto questo accade con le Istituzioni che non riescono a far quadrare i conti dei propri bilanci e non sono in grado di ricorrere a misure anticrisi “tradizionali” come il finanziamento di ammortizzatori sociali in deroga.
I soldi sono finiti, le politiche passive del lavoro non hanno più copertura. In questo scenario, ciò che andava fatto da anni non è più rinviabile: va percorsa un’altra via, bisogna innovare i modelli di sostegno dei lavoratori nella ricerca di nuova occupazione.
Devono tornare in primo piano le politiche attive del lavoro.
Tra queste, l’outplacement, il servizio specialistico che accompagna concretamente chi perde il lavoro nella ricerca di una nuova opportunità, è stranamente poco diffuso in Italia, anche se comparso per la prima volta già negli anni ’80.
Sono testimone diretto dell’indifferenza che lo circonda, della scarsa considerazione che gode persino nei sindacati: nelle trattative di gestione delle crisi aziendali che mi è capitato di condurre, hanno chiesto di monetizzarlo, trasferendo ai lavoratori l’equivalente economico del servizio qualificato di ricollocazione.
Sottovalutando, nei fatti, la difficoltà di trovare un nuovo lavoro.
Le cifre sono eloquenti: in Italia l’outplacement coinvolge appena 8mila persone l’anno, per un giro d’affari di circa 25 milioni di euro, contro i 190 della Germania e i 220 della Francia. Eppure, in molti casi, funziona.
Con percentuali di ricollocazione dei lavoratori che sfiorano l’80% (i dati Aiso, l’associazione italiana società di outplacemet, dicono che nel 2013 ci sono stati 9.163 ricollocamenti, con il 77% di tasso di successo, per un’età media dei candidati di 45 anni).
Andrebbe reso obbligatorio, come in Francia, dove le aziende che licenziano hanno il dovere contrattuale di aiutare i lavoratori a reimpiegarsi. Se il licenziamento fosse accompagnato sempre da programmi di ricollocamento costruiti intorno alle esigenze di ogni singolo lavoratore, il periodo di disoccupazione potrebbe ridursi significativamente, con vantaggi economici molto significativi per le casse dello Stato.
Ma cos’è l’outplacement? Un servizio erogato da società specializzate, autorizzate dal ministero del Lavoro, che attivano interventi di tipo psicologico e consulenziale, di analisi delle capacità e delle competenze dell’individuo, degli eventuali bisogni formativi o motivazionali, di accompagnamento nella ricerca attiva del lavoro.
L’obiettivo finale è aiutare fattivamente il lavoratore ad affrontare il mercato nel quale è interessato a trovare ricollocazione.
Due le tipologie d’intervento: una di tipo individuale, sulla base di un accordo tra azienda e singolo; un’altra, di tipo collettivo, che presuppone l’intesa tra azienda, organizzazioni sindacali e dipendenti.
I vantaggi per l’impresa ci sono: la possibilità di limitare l’impatto sociale sulle persone coinvolte in situazioni spesso traumatiche come le ristrutturazioni aziendali, l’opportunità di abbassare il livello di conflittualità, in particolare con l’outplacement individuale, e di ridurre i contenziosi e i costi ad essi associati.
La parte più difficile del lavoro per le società specializzate di outplacement è nel rapporto con l’individuo: deve elaborare il lutto della perdita del posto di lavoro, deve superare la paura del cambiamento, deve abbandonare rigidità e resistenze; deve essere, in altri termini, completamente rimotivato.
C’è bisogno di un salto culturale di tutti gli attori del mercato del lavoro. E Stato e Regioni devono percorrere strade diverse nel campo del welfare.
Il tradizionale approccio, esclusivamente assistenzialista, si è rivelato costoso e inefficace.
(Tratto da www.restoalsud.it, firmato da Tommaso Di Rino)
Rendiamo obbligatorio l’outplacement.
Ogni settimana, quasi ogni giorno, leggiamo di imprese in crisi, costrette a licenziamenti collettivi o alla chiusura; uno degli effetti più tangibili della tremenda crisi che stiamo vivendo, non solo al Sud. E tutto questo accade con le Istituzioni che non riescono a far quadrare i conti dei propri bilanci e non sono in grado di ricorrere a misure anticrisi “tradizionali” come il finanziamento di ammortizzatori sociali in deroga.
I soldi sono finiti, le politiche passive del lavoro non hanno più copertura. In questo scenario, ciò che andava fatto da anni non è più rinviabile: va percorsa un’altra via, bisogna innovare i modelli di sostegno dei lavoratori nella ricerca di nuova occupazione.
Devono tornare in primo piano le politiche attive del lavoro.
Tra queste, l’outplacement, il servizio specialistico che accompagna concretamente chi perde il lavoro nella ricerca di una nuova opportunità, è stranamente poco diffuso in Italia, anche se comparso per la prima volta già negli anni ’80.
Sono testimone diretto dell’indifferenza che lo circonda, della scarsa considerazione che gode persino nei sindacati: nelle trattative di gestione delle crisi aziendali che mi è capitato di condurre, hanno chiesto di monetizzarlo, trasferendo ai lavoratori l’equivalente economico del servizio qualificato di ricollocazione.
Sottovalutando, nei fatti, la difficoltà di trovare un nuovo lavoro.
Le cifre sono eloquenti: in Italia l’outplacement coinvolge appena 8mila persone l’anno, per un giro d’affari di circa 25 milioni di euro, contro i 190 della Germania e i 220 della Francia. Eppure, in molti casi, funziona.
Con percentuali di ricollocazione dei lavoratori che sfiorano l’80% (i dati Aiso, l’associazione italiana società di outplacemet, dicono che nel 2013 ci sono stati 9.163 ricollocamenti, con il 77% di tasso di successo, per un’età media dei candidati di 45 anni).
Andrebbe reso obbligatorio, come in Francia, dove le aziende che licenziano hanno il dovere contrattuale di aiutare i lavoratori a reimpiegarsi. Se il licenziamento fosse accompagnato sempre da programmi di ricollocamento costruiti intorno alle esigenze di ogni singolo lavoratore, il periodo di disoccupazione potrebbe ridursi significativamente, con vantaggi economici molto significativi per le casse dello Stato.
Ma cos’è l’outplacement? Un servizio erogato da società specializzate, autorizzate dal ministero del Lavoro, che attivano interventi di tipo psicologico e consulenziale, di analisi delle capacità e delle competenze dell’individuo, degli eventuali bisogni formativi o motivazionali, di accompagnamento nella ricerca attiva del lavoro.
L’obiettivo finale è aiutare fattivamente il lavoratore ad affrontare il mercato nel quale è interessato a trovare ricollocazione.
Due le tipologie d’intervento: una di tipo individuale, sulla base di un accordo tra azienda e singolo; un’altra, di tipo collettivo, che presuppone l’intesa tra azienda, organizzazioni sindacali e dipendenti.
I vantaggi per l’impresa ci sono: la possibilità di limitare l’impatto sociale sulle persone coinvolte in situazioni spesso traumatiche come le ristrutturazioni aziendali, l’opportunità di abbassare il livello di conflittualità, in particolare con l’outplacement individuale, e di ridurre i contenziosi e i costi ad essi associati.
La parte più difficile del lavoro per le società specializzate di outplacement è nel rapporto con l’individuo: deve elaborare il lutto della perdita del posto di lavoro, deve superare la paura del cambiamento, deve abbandonare rigidità e resistenze; deve essere, in altri termini, completamente rimotivato.
C’è bisogno di un salto culturale di tutti gli attori del mercato del lavoro. E Stato e Regioni devono percorrere strade diverse nel campo del welfare.
Il tradizionale approccio, esclusivamente assistenzialista, si è rivelato costoso e inefficace.
(Tratto da www.restoalsud.it, firmato da Tommaso Di Rino)
giovedì 4 dicembre 2014
SÌ AL JOBS ACT, CONTRATTO A TUTELE CRESCENTI AL VIA
RENZI: L'ITALIA CAMBIA DAVVERO NEL PD SOLO MINEO VOTA CONTRO, FIDUCIA AL SENATO CON 166 SÌ E 112 NO
Con 166 voti a favore, 112 no ed 1 astenuto il Senato ha votato la fiducia al governo approvando definitivamente la legge delega, meglio nota come Jobs Act, ieri in terza lettura. Le minoranze del Pd, nonostante la contrarietà alla fiducia, hanno votato «sì» per «senso di responsabilità» e tra le fila dei Dem il dissenso è arrivato solo dai civatiani.[…] «L'Italia cambia davvero. Questa è #lavoltabuona. E noi andiamo avanti», ha commentato in serata il premier Matteo Renzi […]. La legge contiene le deleghe al governo ad emanare entro sei mesi i decreti sul nuovo contratto a tutele crescenti, il riordino dell'assicurazione sociale per l'impiego (Aspi), i nuovi ammortizzatori sociali, i servizi per il lavoro e le politiche attive, il codice semplificato delle discipline e delle tipologie contrattuali, la razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti, l'aggiornamento delle misure di tutela della maternità. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha sottolineato che «non sono le regole a produrre posti di lavoro, ma siamo convinti che un buon contesto aumenti le opportunità» Il primo decreto delegato è atteso dal Consiglio dei ministri che si riunirà a metà dicembre riguarderà il contratto a tutele crescenti ragion per cui il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, prima di esprimere un giudizio sul Jobs Act ha detto: «Siamo in attesa di vedere i testi definitivi e i regolamenti attuativi». Per i neoassunti con contratto a tutele crescenti cambierà la disciplina sulla tutela reale in caso di licenziamento illegittimo (articolo 18 dello Statuto dei lavoratori); inoltre sarà riscritta la disciplina sui mansionamenti (articolo 13 dello Statuto) e sui controlli a distanza (articolo 4 dello Statuto). Il nuovo ammortizzatore sociale Aspi verrà esteso ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, mentre si prevede il graduale superamento dei contratti a progetto, per la fruizione dei servizi per il lavoro nascerà l'Agenzia nazionale per l'occupazione. Chi beneficia del nuovo trattamento di disoccupazione (Aspi) dovrà attivarsi per trovare una nuova occupazione, partecipando a corsi di formazione o di riqualificazione professionale. La cassa integrazione non verrà più concessa per cessazione definitiva d'attività aziendale (odi un ramo di essa), i cassintegrati potranno essere utilizzati per attività utili per le comunità locali. «Non c'è legge, contratto collettivo, giudice, ispettore, avvocato o sindacalista che possa assicurare dignità e libertà a chi lavora meglio della possibilità effettiva di cambiare azienda», ha commentato il relatore Pietro Ichino (Sc), riferendosi al decollo del contratto di ricollocazione destinato a chi perde il lavoro (con due anni di anzianità di servizio). [..]
(Tratto da ”Il sole 24 Ore”, numero del 4/12/2014, firmato da Giorgio Pogliotti)
RENZI: L'ITALIA CAMBIA DAVVERO NEL PD SOLO MINEO VOTA CONTRO, FIDUCIA AL SENATO CON 166 SÌ E 112 NO
Con 166 voti a favore, 112 no ed 1 astenuto il Senato ha votato la fiducia al governo approvando definitivamente la legge delega, meglio nota come Jobs Act, ieri in terza lettura. Le minoranze del Pd, nonostante la contrarietà alla fiducia, hanno votato «sì» per «senso di responsabilità» e tra le fila dei Dem il dissenso è arrivato solo dai civatiani.[…] «L'Italia cambia davvero. Questa è #lavoltabuona. E noi andiamo avanti», ha commentato in serata il premier Matteo Renzi […]. La legge contiene le deleghe al governo ad emanare entro sei mesi i decreti sul nuovo contratto a tutele crescenti, il riordino dell'assicurazione sociale per l'impiego (Aspi), i nuovi ammortizzatori sociali, i servizi per il lavoro e le politiche attive, il codice semplificato delle discipline e delle tipologie contrattuali, la razionalizzazione delle procedure e degli adempimenti, l'aggiornamento delle misure di tutela della maternità. Il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti, ha sottolineato che «non sono le regole a produrre posti di lavoro, ma siamo convinti che un buon contesto aumenti le opportunità» Il primo decreto delegato è atteso dal Consiglio dei ministri che si riunirà a metà dicembre riguarderà il contratto a tutele crescenti ragion per cui il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, prima di esprimere un giudizio sul Jobs Act ha detto: «Siamo in attesa di vedere i testi definitivi e i regolamenti attuativi». Per i neoassunti con contratto a tutele crescenti cambierà la disciplina sulla tutela reale in caso di licenziamento illegittimo (articolo 18 dello Statuto dei lavoratori); inoltre sarà riscritta la disciplina sui mansionamenti (articolo 13 dello Statuto) e sui controlli a distanza (articolo 4 dello Statuto). Il nuovo ammortizzatore sociale Aspi verrà esteso ai lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, mentre si prevede il graduale superamento dei contratti a progetto, per la fruizione dei servizi per il lavoro nascerà l'Agenzia nazionale per l'occupazione. Chi beneficia del nuovo trattamento di disoccupazione (Aspi) dovrà attivarsi per trovare una nuova occupazione, partecipando a corsi di formazione o di riqualificazione professionale. La cassa integrazione non verrà più concessa per cessazione definitiva d'attività aziendale (odi un ramo di essa), i cassintegrati potranno essere utilizzati per attività utili per le comunità locali. «Non c'è legge, contratto collettivo, giudice, ispettore, avvocato o sindacalista che possa assicurare dignità e libertà a chi lavora meglio della possibilità effettiva di cambiare azienda», ha commentato il relatore Pietro Ichino (Sc), riferendosi al decollo del contratto di ricollocazione destinato a chi perde il lavoro (con due anni di anzianità di servizio). [..]
(Tratto da ”Il sole 24 Ore”, numero del 4/12/2014, firmato da Giorgio Pogliotti)
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