STARTUP E CROWDFUNDING: quale futuro hanno in Italia?
Intervista a Marco Bicocchi Pichi
MR: Ad oggi quali sono, secondo lei, i settori più caldi per le Startup?
MBP: Oggi come oggi, sicuramente gli investimenti in piattaforme internet, con particolare riferimento al mobile e nella biotecnologia, sono i più consistenti in Italia, ma non solo. Tuttavia ciò che è davvero fondamentale nel processo di imposizione di un tema – e quindi anche dello sviluppo di un settore – è la forza della comunicazione di business che, periodicamente e soprattutto nell’IT, rinomina e porta in auge tematiche “sempre verdi”.
Ci può fare un esempio?
Qualche anno fa si parlava della Machine to Machine Communications che oggi è diventata Internet of Things o, per dirla come Cisco, Internet of Everything; si parlava di Data Mining e oggi di Big Data. Non voglio dire che non si siano fatti passi in avanti in questi settori perché è vero il contrario, ma semplicemente che c’è un processo di “periodico- ritorno” che si verifica puntualmente, qui come in altri ambiti.
C’è qualche differenza tra Italia e resto del mondo?
A livello internazionale si sta sviluppando sempre di più un tema di hardware, in Italia siamo più focalizzati sull’app economy che necessita di meno finanziamenti. D’altra parte se da noi si fatica già a raggiungere 4 o 5 milioni di euro di raccolta fon- di, figuriamoci arrivare 10 o 15.
Ha ancora senso parlare oggi di un ecosistema locale di startup quando, in realtà, l’ambizione di tantissimi progetti è avere un respiro globale?
In parte sì e in parte no. Un ecosistema in verità è locale per definizione ma deve essere anche connesso come nodo della rete d’innovazione che è invece internazionale. Un ecosistema per definirsi tale deve comunque agire in un contesto sistemico e ad oggi, purtroppo, questo avviene maggiormente in altri Paesi tra cui Inghilterra, Germania, Israele, Francia e naturalmente Stati Uniti. In Germania, ad esempio, il rapporto tra grande industria, startup e università è molto più forte che da noi: se visiti un incubatore a Berlino, a fianco delle startup ci puoi trovare colossi come Siemens, Daimler e Bosch. Questo significa che alla base non c’è l’idea di costruire uno spinoff universitario, ma un vero e proprio luogo di open innovation. Oppure, negli Stati Uniti i professori universitari non sono occupati a fare consulenza in impresa facendosi aiutare da qualche studente ma, viceversa, affiancano l’allievo brillante, aiutandolo a costruirsi relazioni utili e a trovare i finanziamenti necessari per sviluppare il suo progetto.
E in Italia la realtà dei fatti è molto diversa?
Parlare di ecosistema italiano di startup può diventare propaganda se si afferma che già esiste ma è utile continuare a farlo per stimolarne lo sviluppo. Oggi manca spesso il sistema virtuoso di interazione tra le parti. In Italia, quando nasce un incubatore non di rado si dà vita solo a un assemblaggio di muri, senza mentors, senza competenze, senza veri industriali e finanziamenti. Prevale il campanilismo e facciamo troppa fatica a collaborare, a esprimere la capacità di co-opetition ovvero cooperare e competere.
Le startup italiane dovrebbero quindi pensare il loro business al di fuori dei confini nazionali?
Rimanere in Italia a tutti i costi è sbagliato, soprattutto perché oggi il mercato è globale. Una startup può costituirsi nel nostro Paese, anzi possiamo anche dire che nascere in Italia sia una fortuna per di- versi aspetti, ma se si vuole davvero fare un’impresa con ambizioni internazionali e innovazione imprenditoriale si deve puntare a una rapidissima internazionalizzazione. Occorre andare a trovarsi i clienti early adopters perchè gli italiani sono un popolo poco propenso all’adozione dell’innovazione nello stadio iniziale, e questo è vero sia per le imprese che per i consumatori, e occorre accedere ai mercati finanziari più sviluppati.
Qual è la differenza di approccio all’innovazione tra un imprenditore italiano e uno straniero?
Se vado a presentare un prodotto innovativo a un imprenditore nostrano probabilmente la prima cosa che vorrà sapere è se ne ho già venduto un buon numero di “pezzi”. Se faccio lo stesso in un Paese anglosassone l’imprenditore, al contrario, mi chiederà di provare direttamente ciò che gli sto mostrando per capire quali sono i vantaggi competitivi che può avere investendo su quel prodotto prima di altri.
Passando al tema del crowdfunding, quali cambia- menti ha portato nel mondo dell’investimento, anche in startup, rispetto al passato?
Il crowdfunding ha favorito la democratizzazione di strumenti che prima avevano in mano solo pochi Venture Capitalist e Business Angel: la digitalizzazione ha reso un prodotto esclusivo, cioè la possibilità di investire in nuove imprese (e in generale nell’impresa non quotata), un prodotto di massa. Oggi chiunque, dallo studente al piccolo medio imprenditore, può decidere di investire – secondo le proprie possibilità – attraverso una piattaforma web dedicata, su tanti progetti, grazie anche alla facilità con cui in rete è possibile raccogliere informazioni sia sull’impresa su cui si vuole credere, sia sulle persone in carne e ossa che la gestiscono.
Ognuno di noi ora è in potenza un “investitore”. È un passaggio epocale, ha il potenziale di una rivoluzione culturale che può portare la cittadinanza a riconoscere il valore sociale dell’impresa. È interessante a questo proposito il risultato di un sondaggio in Francia, negli ultimi 10 anni i francesi che hanno un opinione positiva dell’impresa sono passati dal 50% al 90%. (http://www.lemon-de.fr/economie/article/2014/11/25/les-sympathisants- du-ps-reclament-plus-de-liberte-pour-les-entrepri-ses_4528695_3234.html)
Quali persone sono e saranno le più propense a trasformarsi in investitori di finanza alternativa?
L’ingrediente necessario per diventare un “consumatore di finanza alternativa” si traduce essenzialmente nella fiducia razionale nel futuro. Occorre avere una certa propensione ad assumere un rischio ragionato, una fiducia nell’ignoto e nell’umanità più alta della media e certamente un certo grado di conoscenza e consapevolezza dei meccanismi di funzionamento del settore e del ruolo dei Business Angel e dei Venture Capitalist. Se una persona che è già abituata a gestire il proprio portafoglio d’investimenti decide di impegnarsi anche sul fronte del crowdfunding quello che dovrà fare è diversificare il modo in cui è abituato a svolgere la propria attività; se, al contrario, nella vita si occupa di altro, almeno all’inizio, farà più fatica a capire i meccanismi e cosa valutare per decidere se fare o meno un investimento. Ma per imparare ci sono molte opportunità, e con il crowdfunding si può “iniziare ad andare in bici con le rotelline” ovvero iniziare a fare sul serio ma con risorse anche limitate.
(pubblicato in data 4/12/2014)

Nessun commento:
Posta un commento
Vuoi lasciare il tuo parere su Bersaglio Lavoro?
Sei il benvenuto!